sabato 23 maggio 2009

Piccoli baci intrisi di piacere schiumoso





Poi il treno arrivò quasi in orario. La stazione brulicava già. Attività frenetica e fremente. Valige e rotelle rumorose. Tutti convinti, impettiti e ben vestiti. Guardai la mia immagine riflessa in una vetrina. Un ciuffo di capelli scendeva imbecille sul viso sconfitto. Lo sistemai, tornò giù. Poi non ci pensai più. Mi avviai senza sentire nemmeno le gambe e la testa. Un caffè amaro, poi gomiti spintoni, chiacchiericcio tremendo. Che ci facevo in mezzo a quel ripugnante sciame cicaleggiante? 
Mi sedetti sui bordi di quella che doveva essere stata una fontana, trasformata in ritrovo dei derelitti. Una comitiva di neri con gli occhi spenti e il vino in cartone veniva tenuta d'occhio da due solerti gendarmi. Sfogliai il giornale. “Le veline del presidente”. Volonterose studentesse della "scuola di politica". Pure io sono stato con una "farfalletta" in erba. Mi praticò un maldestro pompino rigato nel 2001, e poi a casa ne facemmo una all'impiedi, con lei faccia al muro. I giorni seguenti se la fecero anche altri amici. Con gli anni avrà affinato i suoi gusti. Ma non posso dire di più, passerei per un millantatore. Un vile calunnioso.
Gettai via il giornale, guardandomi attorno. Una specie di Gesù pagano deambulava per i lucidi corridoi della stazione come una scimmia in trance. Un altro trascinava un aggeggio arrugginito per trasportare i bagagli. Ci aveva riposto dei sacchi di plastica, e camminava guardandosi attorno, come inseguito da demoni spaventosi. Lo trascinava quasi fosse un delicato passeggino. Vestiva stracci logori e sporchi, delle ciocche unte gli cadevano sulle spalle, mentre gli occhi erano spiritati e sbarrati, poi agitati, di nuovo sbarrati. Chissà cosa riusciva a vedere. Ogni tanto si piegava e raccoglieva cicche. Abbozzava uno strano sorriso, quindi agitava i pugni.
“La maleducazione! Il mondo è diventato maleducato! La gente non conosce l'educazione!”.
Incrociai per una frazione di secondo le sue pupille tormentate, digrignò i denti grigiastri aprendosi a un risolino isterico. Ebbi paura. Poi si chinò di nuovo, raccolse altre cicche e proseguì il suo giro, ridendo.
Lasciai il messia e mi avviai. Il convoglio sotterraneo, poi un altro in superficie. La tipa abitava fuori mano. Una frazione staccata dal grande centro nevralgico e arruffato del nulla. Il cielo appariva più crudele del solito, grigio e pesante come una spessa lastra d'acciaio. Stradine sconnesse, viottoli di fango, poi alberi, fino alla sua graziosa magione, col tetto spiovente e un bel giardino curato all'americana. Un po' mi faceva piacere rivederla, ma avevo un gran sonno e un dolore che partiva dalle gambe, risaliva lungo la schiena e terminava come un chiodo conficcato nelle meningi. 

Il selciato bagnato scricchiolava sotto le mie gambe leggere, mentre pensavo a lei. L'avevo conosciuta per caso. Uno sprovveduto coinquilino me la portò a casa. Una cena discreta. Poi passammo la notte a bere vino siciliano. L'amico andò a sollazzarsi coi suoi amici di msn e noi restammo a trincare vino, fino a dormire sbronzi sul divano. Scopammo dolcemente prima che il cielo si rischiarasse. Continuammo a vederci, quando capitava. Giusto per mitigare le nostre solitudini con piacevoli orgasmi. Scopavamo e lo mettevamo in culo alla noia. Cos'altro è l'amore se non una serie di chiavate pietose? I suoi occhi erano profondi e scuri, sempre cerchiati di un trucco pesante, capelli disordinati color arancio, lunghi sul davanti e sfumati sul collo, gambe snelle, muscolose, chiare e un po' storte, un bel par di tette puntate minacciosamente verso l'esterno, e il didietro proporzionato e tosto. La sua fica era liscia e carnosa. 
Insomma, mi attraeva non poco. Richiamava una scopata furtiva e traditrice. Ma lei un uomo non ce l'aveva. Non gli interessavano granché, fuori da un letto. Non faceva nulla e non ero mai riuscito a spiegarmi come facesse a permettersi quella bella casa. Genitori abbienti o marchette ricercate. In fondo non m'importava.
Non era poi cambiata molto in sei mesi. Indossava una maglia bianca e sformata, ed un paio di boxer a righe bianche e lillà. 
I suoi occhi erano ancora violentati da sonno. Mi accolse con un bel bacio e un abbraccio. Sciatto e morbido. 
Poi in una cucina, qualche frase di circostanza. La osservai stringere la moca con grazie indifferente. Le guardai le gambe e la pelle. La cosa più bella di Daniela è la pelle. Chiara, delicata, quasi indifesa. Bevemmo il caffè, poi si accese una sigaretta. Non aveva l'aria felice, ma le mie parole la divertivano. Il segreto con le donne è avere un bel diametro taurino e farle ridere. Io non lo faccio di proposito. Racconto cose vere e tremende, e loro ridono.
“Così ti hanno fatto compagnia due stanghe bionde stanotte...”.
“Tu scherzi, ma è stato orribile! Sembravano vere, delle vampire...volevano uccidermi. Credi abbia un significato?”.
“Non credo...è un semplice incubo.”.
“Può darsi, ma è da quando sognai Gad Lerner in perizoma che mi ammiccava concupiscente, che non ne avevo uno così spaventoso...”.
Le ho strappato un altro sorriso involontario.
Ho spento la sigaretta e mi sono fatto una bella doccia tiepida.
Quando sono uscito lei era stesa sul letto, con la finestra aperta. Lampada accesa e luce buia del cielo che s'insinuava triste. Fumava meditabonda, interrogando il soffitto. Mi sono asciugato per bene. Poi mi sono steso vicino a lei e ci siamo baciati. Un bacio assai coinvolgente. La sua lingua andava senza spartito, poi mi assecondava, provavo a catturarla e le succhiavo le labbra. Un osceno squillo del telefono.
“Può essere per lavoro...”. Si è giustificata.
(“Ma quale cazzo di lavoro!”). Ho pensato.
Si è alzata, ha ondeggiato le chiappe serrate nei boxer aderenti, ed ha risposto. Gesù che culo lussureggiante! Me ne sono acceso un'altra, per graffiarmi la gola. Ho guardato le pareti color celeste tenue, sormontate da strane intarsiature bianche. Poi la finestra. Gli alberi secolari parevano animali stremati e ricurvi, vecchi e nodosi. E provavano a reggere la cappa grigiastra e minacciosa.
Poi ritorna con dei passi saltellanti. Si accuatta pensosa. Un sussulto improvviso. Stupore e un brivido ad accogliere la sua lingua, calda e lenta. 

Che sensazione meravigliosa quello strisciante calore umido lungo il mio cazzo stanco, dopo una notte terribile. Lo sentivo crescere ed ingrossarsi tra le sue labbra morbide. Con le unghie rosso fuoco prende ad accarezzare la palle gonfie, un graffio impercettibile appena sotto. Sa come giocare, docilmente sadica. Afferra la cappella, l'avviluppa, gioca coi bordi. Divertita nel sentirli così gonfi. E' fissata con i bordi. Dev'essere una questione psicologica. Quasi a volerli disegnare con la lingua appuntita e dura, che poi d'improvviso ritorna leggera come piuma fradicia, avvolgendola famelica. 
Un bacio lento e le labbra che scorrono lungo il cazzo teso, che vuole scoppiare. Glielo sottraggo dalla labbra. Le mie mani ora si agitano, passano dal collo alla schiena. Mi inarco, provo a raggiungerle le chiappe sode, ma lei prova a fare resistenza, nel finto gioco dell'eccitazione. La immobilizzo contro il muro e le dita impazzite nello spacco di culo sfrontato, poi sulla fica aperta da un rossore ingordo. 
Ho solo voglia di schiaffarglielo dentro. La vita è fatta di cose semplici. Ma lei non ci sta, si sottrae ancora, mi fa stendere come prima. Avevo dimenticato, le piace sempre concludere le cose. Una alla volta. Metodica e porca, e padrona delle sue cose, e soprattutto del cazzo. Non vuole scopare. Non subito, almeno. Un mugolio e di nuovo sulla punta rivestita da saliva densa. Se lo affonda in bocca, lo ingoia, mena all'impazzata e succhia come indemoniata. Sento il suo respiro e il montare della sua eccitazione ad accompagnare la mia. 
Sto per esplodere. Lei rallenta, crudele fino alla fine, e ancora le labbra umide che solleticano il filetto e lo seguono giù fino ai coglioni, come pittrice ispirata. Ancora due colpi e un getto violento che le sporca la bocca. Asseconda gli altri zampilli strusciando le labbra, come piccoli baci intrisi di piacere schiumoso. Si rialza, viene sul mio petto, e con la mano continua ad accarezzarlo, materna. Mentre fuori gli alberi vengono scossi da folate di vento spaventoso, lei si siede, aprendosi, sul mio viso.

mercoledì 13 maggio 2009

Due finniche morte e assassine che danzano su musiche gitane


La ragazza, venerdì non è venuta. In tutti i sensi. Il rodaggio del suo pertugio lussurioso è fallito miseramente (o solo rinviato?). Chi lo sa. In definitiva si prendono tutte gioco di me. Non apprezzano la mia sensibilità raffinata e profonda.
E allora vi narro una vicenda di fine aprile. Un'altra forchettata di cazzi miei, insomma.
In trasferta, direzione Roma. Internazionali di tennis e vita mondana, senza una lira in tasca. Viaggio in un affollato notturno per non abbienti, disadattati, cenciosi e stranieri. Scompartimento fortunatamente vuoto, e vociare convulso. Una sigaretta divorata, durante la sosta in una sperduta stazione. Un nero di due metri con enormi sacche azzurro intenso, condotto fuori dalla carrozza. Il solerte bigliettaio, lo spintona energicamente, con l'aria severa. Lui reagisce piccato. Fa lo sguardo truce.
“Fanculo amico, fanculo rasista di merda!”.
Quello reagisce mica bene.
“Ehy tu, che hai detto? Imparate l'educazione, lazzaroni maleducati! Fanculo a te e chi vi fa entrare in Italia.”. Mi guarda, cerca conferme. Annuisco. Lo tengo buono. Magari mi capiterà di fumare in corridoio. La vita è fatta di compromessi.
Il ragazzone si allontana ciondolando e smoccolando qualche insulto. Reo di non avere il biglietto e volerlo fare in treno. In modo imprudente abbozzo, una domanda al bigliettaio:
“Scusi ma, il biglietto non si può fare anche a bordo?”.
Farfuglia, sbiascica qualcosa di imprecisato.
“Si, si può...cioè si poteva...ma questi cialtroni devono imparare l'educazione! Come ci si comporta in Italia! Mi faccia vedere il biglietto lei, piuttosto!”.
Capisco di aver fatto un passo azzardato, con la mia impertinenza. Devo essergli sembrato un debosciato progressista. Glielo mostro, lo buca in modo nervoso e se ne va nella notte, a caccia di altri lazzaroni stranieri.
Poi rientro. Salgono pure due tizi. Si assiepano. Ridono, poi litigano, s'insultano. Alla fine aprono i sedili, levano le scarpe e si stendono. Uno dei due tira fuori una copertina e si accuccia sereno. Devono essere abituati, una cosa normale. Cominciano a russare come cinghiali selvatici, in un concerto quasi blues. Ed emanano anche un odore particolare, insopportabile. Afferro la mia borsa in pelle da professionista mancato, adagiandomi nel corridoio.
”Aranciate, birra fresca, aranciataaaa!”. Un buffo ambulante con l'accento napoletano e panzetta malaticcia. Me n'ero sparati quattro alla stazione, prendo altri tre barattoli di peroni. Otto euro. Sfugge a ogni legge matematica, ma chi se ne fotte.
“Eh, ti ho fatto lo sconto...”. Mi rivela con lo sguardo furbo.
“Ok.”.
Stappo, e sorseggio guardando il paesaggio schizzare via. Ogni tanto qualche casolare isolato, con luci arancioni ancora accese. Che staranno facendo ancora in piedi? Ed io che ci faccio in quel convoglio orrendo? Non dormo da 64 ore all'incirca e me ne sto seduto su uno sgabello pieghevole, nel corridoio di un treno per miserabili, diretto in nessun posto. L'idea di spararmi un colpo in testa dura qualche secondo, il tempo di ricordare che non ho una Lugher in tasca e di essere un obiettore di coscienza, non essere autorizzato all'uso delle armi. Che devo rifiutare la violenza. Anche contro di me. Mi arresterebbero anche da morto. Che assurdo paradosso. Da qualsiasi posto la si guardi, riescono sempre a fotterti. Ne stappo un'altra. E' calda come piscio, ma quella è. Occorre accontentarsi. Mi aspetta una bella fica calda e una due giorni di divago nel villaggio vip del Foro, a discutere del rovescio in back. Meglio che lavorare nei campi.
Sono a pezzi, mi dolgono le reni. Provo a riposare con la testa reclinata in avanti. Come un cavallo. Ma non ci riesco. Non c'è niente di più atroce del volere e non potere. Il segreto è non pensarci. Ne è rimasta un'altra. Levo la linguetta e osservo l'alba che scorre, svelando montagne frastagliate in lontananza. Voglio dire, capita spesso di osservare l'alba. Raramente di vederla spuntare in movimento. Diversa ma sempre uguale. Anche in quel trabiccolo nauseabondo, c'è qualcosa di bello di cui meravigliarsi. Ed i babbei se ne stanno a dormire. Finisco pure la terza e rimango sul sedile.
Comincio un bel sogno. Due stanghe finniche che danzano sorridenti e lascive, attorno al mio letto. Odore d'incenso, erba selvatica e vaniglia. Ancheggiano e ammiccano seminude, con degli strani nastrini dorati attorno a biondi capelli, fluenti come onde rassegnate. Indossano un vestitino azzurro cielo, corto, eccitante, con una cintura, dorata anch'essa, a cingere i fianchi. Quel drappo copre appena cosce chiare e luccicanti. I capezzoli inturgiditi spuntano discreti sotto al vestito leggero e setoso. Sui lati della cintura, scorgo una federa di cuoio e un pugnale. 

Che ci fanno con un pugnale? Mi porgono grappoli d'uva e grossi beveroni di vino, come ancelle devote. Una specie di paradiso. E danzano su musiche gitane. Poi si acquattano frementi, mi abbracciano tutte ansanti, squittiscono, lanciano gridolini strozzati come maialine da latte. Ancheggiano, dimenano le chiappe a pochi centimetri dal mio viso. Non resisto, ne avvicino una a caso. Le alzo il vestito. Non portano slip le satanasse. Una mano s'insinua in quei glutei di marmo. Gesù, una fica gelida. Una specie di brina mattutina solca la fessura dischiusa. Mi smarrisce. Una prende a baciarmi. Labbra glaciali, leggere come piume ghiacciate. Labbra di cadavere. L'altra amazzone comincia a strusciarsi e leccarmi il cazzo lentamente. Un pezzo di ghiaccio che accarezza la palle gonfie, scivola morbida e risale lungo il cazzo imbizzarrito, fino alla cappella. 
La bionda scandinava ci ha denti inquietanti e aguzzi, ma non li sento mica. Solo un gelo orrendo che risale su. L'altra continua a baciarmi e sorride. Una luce assassina e raggelante proiettata dagli occhi chiari, mi paralizza. Gesù, sto scopando due cadaveri che vogliono uccidermi. Sono morto, o solo pazzo. Il trillo del telefono mi salva da una sborrata mortale.
“A che ora arrivi?”.
“Alle 6,30 credo.”.
“Tra mezz'ora vuoi dire.”.
“Si. Ma tu sei già sveglia?”
“Lo sai che sono mattiniera...sei riuscito a riposare?”.
“Mi ero appena addormentato. Stavo facendo un incubo. Due finlandesi morte mi violentavano e volevano divorarmi lentamente. Terribile! Terribile!”.
Qualche secondo di silenzio imbarazzato.
“Ok, poi me lo racconti”.
“Ok, ciao”.
“A dopo.”.
Povera ragazza. C'è da comprenderla. Chi si metterebbe per due giorni in casa uno che sogna due finniche morte e assassine, che danzano su musiche gitane? Forse mi ama davvero.
(Quel che è successo la mattina seguente, lo scrivo la prossima volta. Che adesso mi sono rotto il cazzo. E le sigarette sono finite.).

martedì 5 maggio 2009

Deliri notturni





E' tutta una questione di ambizione e buchi di culo. E di chi ha inventato i messaggi. Una catena orrenda.
- Che fai? l'ho saputo ieri, ma ora stai meglio?
- Uhuh...le voci corrono in fretta. Pensavo di crepare silenziosamente. Ho sempre immaginato un funerale senza nessuno. E un interramento spartano, nelle fosse per non abbienti.
- Ok. Ho capito...come non detto, sei nella fase compulsivo funerea...
- Ho solo bevicchiato un po'. E tu che fai?
- Mi sono fatta un joint. Ho mangiato un panino e leggevo sul divano. Ora sono nel letto.
- Lo sai quello che penso della scrittura. Tranne due o tre, il resto mi provoca orchite alla punta del cazzo.
- Va beh, il solito...tu invece, oltre a bere?
- Ho scritto, mi sono cavato qualche pulce. Si sono indolenziti i polpastrelli (li devo assicurare un giorno o l'altro) e atrofizzato il pene. Un muscolo morto. Dovresti vederlo, ti mando una foto? Potrebbe essere la copertina di un romanzo neorealista. Ora accendo la tivù, magari danno qualche replica notturna di amicidimariadefilippi.
- Scherzi, vero?
- Per niente. Ogni tanto lo guardo, senza volume. Mi piace il culo di una ballerina bionda svolazzante. Lussurioso! E' una mia debolezza. Come l'alcool. Tu invece non hai debolezze, per questo noi due non scoperemo mai.
- La mia debolezza penso risieda nella frutta. Darei qualsiasi cosa per una vita fatta di frutta... mare... qualche vecchio film prima di addormentarsi... e un uomo che mi soddisfi. Il mio ideale di vita. L'alcol mi attira ben poco, lo sai.
- Sei romanticissima. Peccato per l'alcool. Non hanno ancora inventato un palliativo credibile. Quando parti per Santo Domingo con un videoregistratore e lo spazzolino, avvertimi. Mi aggrego volentieri.
- Ok, ti faccio sapere.
- Io e te saremmo una bella comitiva. Quanto al soddisfare, non garantisco nulla. Al limite mi rifugio in corner col cunnilingus (sono un dritto, io).
- Beh, e chi lo rifiuta! basta che non si esageri, perché portato per le lunghe mi sembra di avere un rapporto con il mio cane.
- Ma no. Il tempo necessario. Approfondito, ma non tedioso. Lingua guizzante ed operosa. Qualche mese fa misi anche un annuncio:"Abile e discreto linguista offresi per fiche lisce. Prezzi modici. Quindici euro per mezz'ora.”.
- Un puttano! Mica lo sapevo! Però non somigli per niente a Richard Gere.
- No infatti...ci ho i tratti più raffinati, è una bellezza decrepita la mia. E sono parecchio più alto. Comunque è stato un aborto di tentativo. Mi hanno risposto in tre in due settimane. E una aveva 57anni. Tutte timide. Poi non l'ho più messo (l'annuncio). Eppure come prezzo mi sembrava allettante.
- Forse si. Ma noi donne non abbiamo bisogno di pagare, e alcune non sono ancora preparate.
- Eppure, l'utero non è vostro?
- Anche il culo se è per quello.
- Quello fa parte a se. A volte lo si concede per noia. Altre volte per troppo amore.
- Ma dove le trovi queste massime?
- Mi vengono così. Sono una fucina inesauribile.
- Nei tuoi servizi a pagamento era previsto, anche quello?
- Che intendi con “quello”? Slinguare il bucetto? Certo che si, con tariffa raddoppiata. A meno che il culo non fosse stato meritevole. Ho un debole per i culi impertinenti.
- A me piace.
- Bene. Anche a me. Lo vedi che siamo simili? Dovremmo sposarci un giorno o l'altro. Al limite baciarci.
- Non scherzo, il mio uomo poi...è specializzato nella pratica. Mi piace più del cunnilingus, mi da quel brivido...mica lo so spiegare!
- Certo, non devi mica spiegarlo dolcezza. L'avevo intuito che sei una ragazza decisa. Il tuo uomo però è un competente in materia. Tocca ammetterlo, conosce i suoi cazzi.
- Ma dico sul serio, lui affonda anche a lingua e...(censura, v.m 36anni).
- Ok-ok-ok. Alt. Stop. Vuoi farmi capire che hai letto tutte le avventure del Marchese de Sade? L'ho sempre detto che i libri sono la rovina delle persone.
- Guarda che dico sul serio. Sei geloso, forse? Lui è bravissimo!
- Ma bene, un talento cristallino che sfida le leggi della fisica. Avrebbe un futuro nella cinematografia. Una specie di John Holmes della lingua. Già vedo il titolo: “lingua taurina per fessure infigarde”.
- No, sono possessiva...lo fa solo con me.
- Ecco. L'egoismo. La dimostrazione evidente che l'amore è la tomba delle ambizioni e la castrazione di talenti.
- E tu? La infili dentro?
- Ma certo, che domande. Te l'ho scritto prima. Anche se ho una lingua normodotata, mi applico. Poi deve ispirarmi il soggetto. Mi stimolano i buchi di culo viziosi. Il tuo mi piace un bel po'.
- Mica l'hai visto.
- Ho una fervida immaginazione. Si nota dal tuo sguardo.
- Mi stuzzichi? Chissà un giorno...
- Già, io stuzzico. Domani sera sono a casa, comunque. Così per dire.
- No domani, non potrei. Al limite venerdì. Esco da lavoro alle sei, poi vado in palestra e se faccio in tempo, passo volentieri.
- Va bene. Oh, non vorrei fraintendessi...non dobbiamo fare del sesso spiccio per forza. Il sesso non mi attira nemmeno così tanto. Al limite beviamo una birra, parliamo di politica, tennis, crisi in medioriente, ti faccio un dipinto...Sono un tipo brioso da ubriaco, lo sai.
- Ok. Adesso ti saluto che il credito è quasi finito. Mi devo ancora lavare i capelli.
- I capelli? Sono le 3,47. Tra un po' albeggerà. Sei una ragazza strana. Te ne rendi conto? Ti lavi anche la fica?
- No quella l'ho già lavata.
- Bene così, ma non esagerare. Perderebbe tutta la poesia.
- Certo! Ciao, buonanotte. A presto allora...
- A venerdì, vuoi dire. Sei volgare quanto un uomo sincero. E sei ironica. A me piace l'ironia. Oltre alla fica. Dolce notte.
Morale. Ho speso sei euro e zero-otto in messaggi. Che grazie ad una furbesca tariffa con autoricarica, diminuirà di circa un quarto. Arriverò a due euro e ventisei all'incirca. Scriverò il seguito dopo venerdì. Se verrà. E se non muoio prima.

Dedicato a chi non lo leggerà mai.