domenica 20 dicembre 2009

Lo spirito natalizio in uno scaldapene




L'atmosfera natalizia m'insinua un germe saltellante, di angoscia divorante. Tutto quel luccicare intermittente e inutile. Odore di terra bagnata e muschio vellutato, raccolto di buon mattino, per riempire il presepio. E poi pecorelle imbalsamate, una grotta di cartapesta, pastorelli con le cornamuse e l'espressione spaventosamente fissa, sbarrata verso il vuoto. Quell'arbusto storpio, addobbato alla meglio, sormontava tutto, suscitando sensazioni di povertà avvilita, senza più nemmeno la rabbia.
Bisognava anche fare i regali. Mio padre smoccolava e bestemmiava, quai fosse una bestia dallo sguardo feroce. E capii come andava la vita, a sei anni. Robot e piste elettriche muggivano d'odio proprio come quella faccia arrabbiata color del melograno. Intuivo idee di incidenti involontari. Con gli anni avrei compreso anche il significato dell'amore. Spesso non è una schizzata maldestra e incontrollabile, travestita da volontà divine.
Scorrono gli anni, senza mai riuscire a scrollarmi dalle carni quell'inquietudine macerante provocata dallo spirito natalizio annunciato da musichette idiote. Nel 1998, nel giorno del gaudioso avvento, mi rinvennero in un fosso. Lo stereo della vecchia golf rimandava questa, all'infinito. Non ho mai capito come fossi finito in quel burrone spinoso, ma quasi ovattato da divinità propizie.
Basta qualcuno, qualcosa, un piccolo gesto inaspettato. Qualche anno fa, la mia donna mi regalò uno scaldapene. Un po' mi corrucciai. Pensai a significati simbolici. Un crudelmente allusivo invito a prepararmi a gelide notti solitarie. Poi lo indossai con gioia. Voglio dire, uno scaldapene in lana arancio, con tanto di laccetto stringi mazza alla base delle palle, e soffice bonbon bianco sulla punta. La lana provocava un certo prurito al glande. Ho il glande sensibile e facilmente scappellante, io. E me lo sfilai. Ma che mente geniale. Quale donna brillante. Che tette dirompenti, coi capezzoli che guardavano all'esterno faccende a noi incomprensibili, simili ad occhi maliardi e lascivi. 

Che fine avrà fatto? Ora che ci penso, non trovai mai il coraggio di regalarle uno scaldacepezzolo. E nemmeno uno scaldavulva prensile.

mercoledì 16 dicembre 2009

Una muta erezione. Danzando su musiche inesistenti








Guardo alla tv una vecchia bacucca, e mi balza in mente Kate Moss. Sotto un cielo ammantato di stelle a cosce aperte, lecco la sua fica con passione famelica. Poi ci facciamo di whiskey costoso e ogni tipo di droga sofisticata. E invece tocca accontentarmi di tossiche mediocri, naturalmente disagiate. 
Una donna tremendamente attraente mi invita a casa sua, e invece di scoparmela sul comodo letto matrimoniale, propongo di farle un delicato ritratto. E io non so disegnare. Stretto nel lungo cappotto sfregiato da bruciature di sigarette, avverto sulle carni un gelo tagliente. E dipingo una spiaggia nudista, sotto il sole brutale, che arde pelli avvizzite, floride, oscenamente impietose.
I saggi mi definirebbero un pericoloso dissociato, da tenere sotto stretto controllo, perché capace anche dell'insano gesto finale. Non hanno capito un cazzo, come al solito. Li fotto abilmente.
Mi ha mollato alla vigilia dell'immacolata concezione. Tutto sembra avere un nesso, una cristiana motivazione odorante incenso al suono di rosari di madreperla sgranati. Un sms da 10 cents per dire basta, con pretesa di incontri chiarificatori. Succede una dozzina di volte al mese. E a che serve un patetico incontro? Non mi piacciono gli incontri chiarificatori. E nemmeno le lucine colorate di natale. 

"Ma vuoi che finisca via sms?". E poi, altri improperi stizziti, in quella quasi satanica abilità femminile di uscirne sempre dalla parte della ragione, vittima del male. "Che uomo sei?". "Non hai nemmeno le palle di vedermi?". E tante altre, meno ricercate. Giammai, non sono mica un codardo io, ho pensato accendendomene una. L'ho chiamata, dicendole timidamente che via sms mi aveva mollato le. E in fondo cosa cambia? Un sms rimane come prova, una traccia del passato. Io li cancello appena ricevuti, gli sms. Lei voleva lasciarmi un'altra volta a voce, e gliel'ho concesso.
Ho bevuto ogni residuo alcolico disseminato nella casa, e mi sono addormentato sereno. Un bel ponte di solitudine esasperante. Ho preso coscienza che il sole era già alto, ed una specie di morsa avvolgeva il mio corpo disteso, nudo come un verme nella solitudine più cupa. Placida e indolore. Non faceva male. Come una leggera coperta di spilli, che t'avvinghia le carni. La luce sottile, filtrando discreta, ha raccolto nella sua parabola traversa un giornale spiegazzato sul como', una porzione di schermo nero, e la mia cappella lucente. Un cazzo spavaldo, turgido e scappellato, vagamente inclinato a sinistra. Eccitato senza un motivo. Simbolo di un corpo ancora vivo. E' quello il metro per capire che sto ancora bene, il cazzo eretto. Assieme ad un filo di barba ruvida. E di quanto il cervello sia un orpello impotente. Anche medici e strizzacervelli, dovrebbero fidarsi di un cazzo duro. 

La coperta immaginaria continuava a procurarmi fastidio. Sul soffitto, un filo pendulo. Semovente, sinuoso e inquietante, assecondava vortici d'aria inesistenti. Fluttuava orrendo e ritmato, danzando melodie mute.
Mi sono alzato, ho aperto la finestra sui quieti palazzi ingrigiti, ho acceso una sigaretta e me la sono fumata fino al filtro. Lavato con odoroso bagnoschiuma al sandalo, mi sono ridisteso sul letto sfatto. E ci sono rimasto una giornata intera. Completante nudo, con il freddo che gelava la pelle e i coglioni vuoti. A guardare quel filo leggerissimo, che seguitava a fluttuare instancabile.

Ecco un post sul nulla, auto compiaciuto della propria minchia dura. Che cos'altro è la vita?



giovedì 3 dicembre 2009

Come spruzzi dispettosi di piscio divino





Seduto sul muretto, riflettevo rimirando stelle cadenti che sputano illusioni. Nubi frastagliate e minacciose, scosse dal vento gelido. Ogni tanto una sgrullata di pioggia, come spruzzi dispettosi di piscio divino. E pensavo a quell'uomo senza culo, occhi di calcestruzzo e cervello di marzapane, da cui dipende il mio futuro. L'evenienza di una pensione. E mi chiedevo se ci fosse una logica finale.
A pochi passi, attorno a un chiosco, un campo rom improvvisato. Lavoratori dell'est trincano birra e ridono, in libera uscita. Sbluffate di kebab, aglio, cipolla, latrina a cielo aperto e zolfate sigarette L&M (lemè-lemèee-lemèee, comprate lemèeeee! Bèlo giovine ti servono lemèeeee?). Un biondino addobbato a goffo tronista di amicidimariadefilippi, mi si avvicina ciondolante, ha l'aria guascona. Di un imbecille sicuro di sé. Chiede una sigaretta, gliela do. Un altro offre un po' della sua Lager in barattolo da discount. Poi tira fuori un coltello, mi intima di allontanarmi dalla loro zona. Così ho intuito. E in certi casi, occorre dar credito alle intuizioni.

Il treno arriva. Nello scompartimento due fanciulle, con la borsa da lavoro. Parrucchiere, estetiste, commesse...chissà. La più ciarliera è vestita di un'espressione smunta e afflitta. Capelli castani e occhi cerulei a completamento di un quadro decadente. Di un'insipida trasparenza, simile a una lumaca di terra con disturbi mentali.
L'amica se ne sta ad ascoltarla silente. Interveniva ogni tanto, scuoteva la testa. Mi incuriosisce. Forse anch'io la incuriosisco. Lanciava intensi sguardi furtivi. Causa occhiali da sole indossati con disinvoltura alle 21,52, forse mi crede uno svitato. O un terrorista rossonero. Poi me li son tolti. Rimaneva davvero bella, di una bellezza semplice. Attenuava l'insofferenza verso la luce dello scompartimento, che seguitava a violentare pupille brucianti. I capelli arruffati le scendevano selvaggi, posandosi sulle spalle. Solo una donna dal gran carattere può portare quei capelli. 
E io continuavo a guardarla con discrezione innamorata. Pelle ambrata e irregolare, con tante specie di lentiggini sottopelle. Labbra imbronciate e solcate, di quelle da baciare al chiarore di stelle amoreggianti e puttane, sotto occhi scuri di una timidezza tormentata. Gesticolava suadente, assecondando i discorsi della lumaca petulante.
Avrei dovuto chiederle qualcosa, mi avrebbe risposto. Saremmo usciti qualche volta. Avremmo scopato, si sarebbe scoperta innamorata della mia nerchia generosa, mi avrebbe incoronato il più grande leccatore di fica del globo. Poi vissuto tristemente assieme. Avrebbe provato a farmi smettere di bere. L'atroce immagine di un pulpito imbiancato e schizzi di riso, e due figli urlanti tutti pasticciati di marmellata alle mele cotogne.

Scrivevo una mail squilibrata sul portatile da sette pollici, e pensavo a simili sviluppi orrendi.
S'è alzata, un metro e sessanta di magia pura, attraente in modo inconsapevole. Con un movimento sinuoso s'è inerpicata sulle punte, donandomi le chiappe spavalde. Ha afferrato la borsa dal bagagliaio, lanciando un ghignetto di fatica. Poi se n'è andata, svanendo in una triste stazione di periferia, lasciandomi un ultimo sguardo, malizioso assai.
Che importa in fondo. Dove la portavo una che non mi arriva nemmeno allo sterno? Avremmo litigato per futili motivi, scoperto incompatibilità di carattere e cercato furtivi amanti rinfacciandoci caratteri incompatibili. Avrebbe chiesto divorzio e alimenti per i frugoli disadattati, accusandomi di essere un buono a nulla. Avrei consentito al maschio di farsi le canne fino all'università. La femmina sarebbe scappata con un musicista tossico. 

L'orrore.
Meglio lasciare tutto intonso.
Non ha senso conoscere gente, illudersi di amare. L'amore è un danno. E' tutto un grande imbroglio. I veri dritti sono intimamente codardi. E poi lei era davvero troppo bassa, forse non lo sapeva nemmeno succhiare con passione. E poi, che discorsi, a casa mi aspetta lei.
Arrivo stremato. Lei indossa una maglia col numero 33, che le coprono le mutandine rosa confetto. E mi guarda di traverso. Gli occhi malvagi sbucano appena, sotto riccioli dorati e bizzosi.
“E dove sei stato fino ad ora? Perché non rispondi mai al telefono?”.
“Un incontro di lavoro.”.
“Lavoro? Hahahahaha...”. Una risata stridula e spaventosa.
“Si, poi ho incontrato una donna tutta tana, l'ho sposata, abbiamo avuto due gemelli, e ci siamo lasciati per insuperabili divergenze di carattere.”.
“Ti sei ubriacato anche stasera, eh? Ed io che aspetto come una stupida!”.
Mi sono fatto una doccia. Abbiamo cenato. Una bella cena sofisticata, misto mare, bagnata da un rosso a buon mercato. Poi s'è lasciata sfilare gli slip, e ne abbiamo fatta una trasgressiva sul tavolo della cucina. I viaggi in treno, servono a quello del resto.
Dedicato a chi non lo leggerà mai.