venerdì 8 gennaio 2010

Vacanze d'amor struggente





Lidia è scappata in bagno, per pisciare o vomitare. O sciacquarsi la fica. Siamo rimasti solo in tre. Sopra un letto coperto da lenzuola celesti alla rinfusa, calde e umide.
Sara m'aveva sfinito cavalcandomi senza sosta e pietà, ed ora lo succhiava a Paolo, tutta elettrizzata e concitata, distesa sul fianco. Un rumore ansante e bagnato, di mandibola, labbra vogliose e lingua sapiente, riempiva la stanza mescolandosi al fumo di sigarette bagnate in un bicchiere di birra. 

Mi dedicavo con premura ai suoi pertugi accaldati. Un dolce riposo alle reni provate dal pomeriggio mortale, col viso affondato tra quei glutei sfrontati. La lingua ad esplorare e giocare col vizioso buco del culo ormai arreso, lasciando che le dita scivolassero a violentarle lentamente la fica. Si dimenava, agitava a tempo le chiappe, serrandole sotto i colpi della lingua. E seguitava a lappare con cura quell'altro. Ero strafatto, oppure aveva un gran bel culo, Sara. Uno di quelli cui donare tutto l'amore che si ha, fino all'ultima stilla densa. Sodo, strepitante e tondo.
Il cazzo mi s'è armato nuovamente, spavaldo e paonazzo. Con la cappella rilucente di desiderio. L'ho aiutata a sollevarsi sulle ginocchia, e gliel'ho piazzato al culo. Solo un rantolo di piacere sofferto, e altri gemiti soffusi e intermittenti, appena riemergeva dalla cappella dell'altro, in un sincrono depravato e naturale. Il cazzo continuava ad affondare lento, in quel buco stretto, ma scivoloso e sereno. Il segreto è la serenità mentale. Inibizioni e nervosismi, rendono il tutto un'inutile fatica dolorosa. Lo dice il manuale che scriverò a breve. Ho preso a spingere. Un'inculata priva di frenetica brutalità.
Poi altri colpi profondi, senza che la sua bocca sapiente mollasse il cazzo taurino di Paolo. Il telefono ha preso a squillare. Un trillo antico, acuto e demenziale. Mi trapanava le meningi, accompagnando l'ultimo affondo. S'è sottratta di colpo alla morsa finale, balzando fuori dal letto come un'anguilla isterica. Ha afferrato metà spinello dal posacenere, e con due passi era già sulla cornetta. Seduta su una logora poltrona color verde marcio, stipata accanto al telefono, nel piccolo corridoio. 

Aveva tutta l'aria di parlare con qualcuno d'importante. Il padre, la madre, o il nonno. Non si può mica interrompere qualcosa di così intenso, se non per una faccenda fondamentale. O forse, fotteva solo per noia, come bere un'aranciata senza zucchero con la cannuccia guardando il mare calmo. L'ho guardata. Appariva felice o commossa. O tutt'è due. Se ne stava seduta e cianciava di gran lena, tirando lievi boccate allo spinello. Le gambe aperte il giusto per esibire la fica inerme e dischiusa. Rossa e oscenamente sguaiata. Le punte scarmigliate dei capelli, finivano per sfiorarle i seni. Dei bei seni, grossi e vellutati, quasi senza il capezzolo attorno all'enorme corona rosea. Gli occhi erano cerchiati, grandi, inquieti. Una bambola giapponese, nuda e sciatta. E pazza.
Paolo s'è rotto le palle di aspettare e se n'è andato in bagno a scopare Lidia. O a farsi una doccia. Non è mica un fine osservatore, lui. E nemmeno un raffinato amante cerebrale come me, del resto. Ho continuato a guardarla con grande romanticismo. Mi sono acceso una sigaretta, toccandomi la punta del cazzo. E' tornata, un po' più malinconica. La famiglia le doveva mancare parecchio, si notava. Mi ha tirato sopra di sé, e le ho scopato la fica. Se n'è venuta, con le gambe avvinghiate dietro la mia schiena. Accogliendo quel poco che rimaneva dello spirito natalizio e delle lucine colorate. Gocce di sborra stanche, posate sul suo ventre appiattito. Mi sono acceso un'altra PallMall, osservando il brillantino che le riluceva sull'ombelico.
"Se non fossi così naturalmente incline all'esser puttana, potresti anche essere la mia donna ideale", ho pensato. Ma non l'ho detto, per non scoprirmi coglione.
Dedicato a chi non lo leggerà mai.