venerdì 14 agosto 2009

La mia moca per una sveltina









E' arrivata in mattinata che ancora dovevo smaltire i postumi della sbronza del giorno prima e addomesticare l'erezione del risveglio. Ho aperto con gli occhi pesti, a fessura. La luce mi violentava e derideva al tempo stesso. Portava un bel vestitino luccicante celeste tutto a fiori. Dava molto l'idea di un'estate sbarazzina, incurante di un tornado tropicale.
Ho messo il caffè sul fornello, sconfiggendo il tremore alla mano. Aspettando il gorgoglio profumato, ci siamo baciati. Un vorticoso abbraccio di lingue fameliche. Il cazzo palpitava già nelle mutande. La mano s'è insinuata sotto la gonna sgusciante, un accordo di dita ancora tremanti a strimpellare sul tanga, caldo e umido. Un sussulto soffocato, poi l'ha sfilato dai boxer, un pezzo di carne infuocato, serrato tra le sue dita di padrona. Severa, implacabile. Cristo! Ero duro come il marmo, eccitato come non avveniva da tempo. Mi scoppiavano le meningi. La vena delle tempie suonava un cha-cha-cha.
Il caffè è uscito, abbiamo lasciato che si bruciasse. 

Con gli occhi da cagna chiedeva la violentassi lì, senza aspettare oltre, nessun preambolo, pudore e stronzate tattiche. Solo istinto animale. L'ho fatta girare. Chinata sul tavolo, ha inarcato la schiena per mostrarmi ancora meglio la fica, e un buco di culo invitante. Il filo del tanga lasciava intravvedere il bucetto sconcio, stagliandosi dispettoso nella fica rosea e fradicia. Ho sfilato il tanga lentamente. Una gamba, poi l'altra. Vibrava, quasi, di una sadica voglia di cazzo. Quelle gambe dischiuse nascondevano il settimo mistero gaudioso di Fatima. E nessuno lo conosceva. Stava lì in mezzo, tra le sue chiappe discinte.
Ha preso a dimenarsi come una cavalla ingorda, appena assaporata la cappella. Muoveva le chiappe in modo circolare, cingendola con decisione. L'abbracciava con la fica. Poi l'ho infilato dentro di colpo. L'ha accolto con un rantolo d'eccitazione sorpresa, piagandosi ancora più in avanti. Gemeva senza trattenersi, sotto i colpi lenti e brutali. Li assestavo senza badare al resto, alla pioggia improvvisa all'aroma bruciata del caffè. Qualche istante a indugiare col cazzo piantato nella fica, fino alla palle, ascoltando quel mugolio prolungato, travestito da invito ad affondarne un altro, più vigoroso e profondo. E io la assecondavo, come un cavallo pazzo, che schiuma eccitazione dalle palle. 
Che chiavata coi fiocchi, nel tanfo di gomma bruciata, caffè e dello spirito santo coi suoi olezzi afrodisiaci. Leccava e succhiava le dita come fossero un cazzo. Forse lo voleva davvero, un altro cazzo. Tutte lo vogliono un altro cazzo, mentre godono. Anche quando non godono. Se n'è venuta con un urlo strozzato, mordendomi le dita.
L'ho sfilato, non ha fatto in tempo a scendere giù, che due schizzi abbondanti hanno sporcato il tavolo. 

Piegata sulle ginocchia, guardandola lappare gli ultimi fiotti svogliati, mi sentivo come un condottiero a seguito della pugna, un torero dopo aver colpito a morte il toro imbizzarrito. Sentivo il suo respiro ancora affannato sfiorare la pelle bagnata e sottile. Le labbra morbide lambivano la cappella intrisa di sborra quieta e densa, e se lo gustava con una lingua vellutata, avvolgendolo lentamente. Il mio cazzo era suo, appartenevo a lei, in quell'istante di piacere che svanisce lentamente, coi brividi a scuotermi la schiena fino allo sfintere.
Poi s'è asciugata le labbra, incominciando a vagare smarrita, alla ricerca di quel tanga minuscolo.
Ed io devo cambiare la guarnizione della moca.

1 commento:

Dedicato a chi non lo leggerà mai.