mercoledì 26 agosto 2009

Tettine frementi







Probabilmente Andrea era omosessuale. Ma non gliel'ho mai chiesto. Sarà per la sua mascella squadrata e il sorriso ammiccante mentre mi scrutava il pacco, ma mi ero fatto quell'idea. Non sono una persona troppo profonda. Fors'anche fuorviato dalla saggezza popolana di mia nonna, vent'anni fa: “Ma che nome è Andrea per un uomo? Andreo, lo dovevano chiamare.”.
Nativo del nord operoso e gelidamente ordinato, capelli chiari a spazzola, occhi inquietantemente piccoli, moralizzatore dei costumi basati sul “tirare a campà” tipici del sud, discreto, salutista, dedito alla palestra e con il tipico fisico da ospite di Mauthausen, maniaco dell'ordine, conoscente di tutti e amico di nessuno. L'inquilino perfetto da ignorare. Ogni tanto lo incrociavo di mattina per le scale, niente di più.
Quella sera aveva organizzato un party, per festeggiare qualcosa. Uno sciame di ragazze dall'aria smaniosa e con una luce viziosa e rassegnata negli occhi. Col suo fare affabile e amichevole del “conosco tutti io”, riusciva a crearsi un harem di pulzelle adoranti al seguito, Andrea. Sono uscito, rientrato dopo quattro ore buone, con addosso un carico di vodka mica da ridere. Il passo leggero e la mente sgombra, la percezione soffice e sfumata di cose e figure. Erano rimaste solo tre fanciulle annoiate. La tipica festa da liceali oramai trentenni, sul punto di sfociare nel gioco della bottiglia.
Tra orrida coca-cola e ponch analcolici, c'era ancora della birra. Mi sono seduto e ne ho sgargarozzato una. Ho parlato con una bionda rossiccia, ben messa. Niente di che, ma tra le altre due spiccava. Carnosa il giusto, chiappe che scoppiavano nel pantalone bianco, tette discrete, capelli che pizzicavano appena la schiena, labbra del tipo “mordimi sciocco” e occhi furbi, cerulei e un po' sbronzi. Le altre due se ne sono andate sculettando. Alessandra, così si chiamava, è rimasta. Lavorando lì vicino, spesso dormiva col mio inquilino. Voglio dire, nella stessa stanza. Non ho mai capito se ci scopassero o l'omosessualità latente di Andrea lo impedisse. Più volte l'avevo incrociata, senza pensare che fosse una scopata da non buttare via.
“E' andata bene la festa?”, ho chiesto.
“Normale.”.
“Poteva ravvivarsi con un'orgia ridotta...”. La vodka mi scioglie la lingua rendendomi umorista inconsapevole.
“Magari...”, ha sibilato a metà voce.
Quel “magari” è risuonato sinistramente, per qualche secondo, nella mia mente leggera. Poi mi sono versato dell'altra birra. L'ho finita e sono andato a farmi una bella doccia ritemprante.
Sono uscito fischiettando, che i due confabulavano fitto-fitto. Poi lui s'è rinchiuso in stanza. Forse parlava col fidanzatino.
“Ma davvero tu hai il condizionatore in camera?”, ha chiesto la bionda.
“Oh si, l'ho preso a rate.”.
“Beato te, stanotte non si respira...”.
E' entrata nella stanza, s'è piazzata sotto il getto d'aria gelida. Pareva godere senza ansimare.
“Oh, anche il letto matrimoniale...” .
“Se vuoi puoi dormire qui, non ho problemi.
“Non so se è il caso...poi io mi sveglio alle 7,30, ti darei fastidio.”. E s'è stesa sul letto, levandosi le scarpe.
“Nessun fastidio, beh, sempre se Andrea è d'accordo...”.
“Che c'entra lui? Pensavi che tra noi ci fosse qualcosa? - s'è fatta una risata scoppiettante - A parte che sono fidanzata, poi con lui dormo sul divano letto.”.
“Non ci sono più i gentiluomini di una volta. Domani gli dico di farsi le valigie.”.
“Si ma è un divano apribile, diventa un letto...con lui sono tranquilla perché siamo amici.”. Ha concluso la frase, indossato una mia t-shirt, tolto i pantaloni e sfilato il reggipetto con movimento fulmineo. Rimasta con le mutande a metà chiappa, si ammirava allo specchio, nella penombra.
Quel “con lui sono tranquilla” unita al “magari” dell'orgia ridotta, mi ha spinto a pensieri filosofici: Non avevo nemmeno un preservativo e un'eccitazione tremenda montava dai calcagni fino alla punta del prepuzio. Lei seguitava a dondeggiare il didietro, strizzandosi i fianchi.
“Uff...mi sono ingrassata, che dici?”.
“Oh no, ti sta benissimo.”.
S'è messa sotto le lenzuola, a distanza di sicurezza. Pareva in vena di una nottalba di confidenze. Amicizia, rispetto, fedeltà, Andrea, il fidanzato militare di carriera, i treni...
“Senti io sono abituata a dormire senza, ti da fastidio se mi tolgo lo slip?”.
“Ma figurati, sono un uomo moderno. Anche io dormo senza, non ce l'ho mica il boxer.”.
S'è girata, sfilandoseli con grazia pudica. Mi ha dato le spalle e ha ripreso a ciarlare di cose che non capivo, le guerre nucleari, la critica della ragion pura, l'ontofenomenologia dello spirito...
Mi sono avvicinato e l'ho cinta di spalle. Aveva un buon odore. E mi lasciava fare. Le ho accarezzato le gambe, le spalle lisce, e infilato lentamente l'asta tra le chiappe. Strusciava pulsante sulle due fessure. E lei continuava a parlare, della cantica virgiliana, dei diritti delle donne, della juventus. Solo con la voce un po' più inquieta, mentre con le dita sondavo le labbra della fica. Era ben curata e già bagnata. S'è girata, m'è parso di intravvedere un sorriso vizioso, di quelli che negano l'invito per accelerarlo.
“Che vuoi fare?”.
“Ma niente...”.
Non avevo ancora terminato la frase, che gliel'ho infilato con premura.
“Ma che fai? Sei pazzo! Uhhhhhh! Ce l'hai il preservativo?”.
“No.”.
Ho cominciato a darmi da fare, assestando dei colpetti fantasiosi, senza foga. Prima di lato, e poi un brioso incastro tipo accoppiamento delle ostriche svedesi. Mi smarrivo mordendo le tettine trepidanti e scivolando tra le natiche burrose. Si dibatteva, gemeva e dopo un po' se n'è venuta contorcendosi tutta.
“Non sono tranquilla, scusa...”.
S'è sottratta in modo malvagio. Ha preso a baciarmi e a menarlo con decisione. S'è girata di lato, indirizzandoselo dietro. Uhuhuh! Che donna decisa! Mi ha smarrito un poco. Voglio dire, inculare eccita proprio perché si immagina il rifiuto, al limite come prova d'amore incondizionato. Quando non chiedi nulla, te lo danno loro, senza tanti preamboli. E' tutta una questione di psicologia, il culo. Ho cominciato a lavoralo con estrema dolcezza, lasciando che la cappella affondasse lentamente.
“Uh, mi fai male!”.
“Lasciami fare piccola, vedrai...”.
“Ma ce l'hai qualcosa, un po' d'olio...non sono mica abituata...”.
“(certo-certo, come no.)ok, adesso vedo.”.
In bagno non avevo nulla. Ho frugato nell'armadietto di Andrea. Una serie di cosmetici da far invidia a Wanda Osiris. Ho avvisto “Baby Johnson's, olio per pelli sensibili.”. E culi riottosi. Non c'era scritto, ma è sottinteso. Già un paio di volte aveva funzionato benone. Mi sono guardato allo specchio. Il cazzo era duro e paonazzo, con leggero scappellamento a sinistra.
“Ho trovato questo, che dici, va bene?”
“Oh è perfetto! Vedo che sei attrezzato! L'avevo capito che sei un maiale! Quante te ne porti a letto, eh? Eh?”.
Non ho risposto. L'ho cosparsa, poi ho affondato senza problemi. Scivolavo, immerso in un gaudente
 mix di freschezza da ghiacciai antartici e calore sconcio, muschio di montagna e sabbia rovente. Una inculata calma e lenta. Poi una scarica densa che e scivolata nel culo, accolta da un suo gridolino di soddisfazione.
Ha iniziato a darmi bacetti e piccoli morsi sul collo. Quindi ha ripreso il monologo. Chakra, fidanzato, matrimonio, convivenza, la stagione dei monsoni...

venerdì 14 agosto 2009

La mia moca per una sveltina









E' arrivata in mattinata che ancora dovevo smaltire i postumi della sbronza del giorno prima e addomesticare l'erezione del risveglio. Ho aperto con gli occhi pesti, a fessura. La luce mi violentava e derideva al tempo stesso. Portava un bel vestitino luccicante celeste tutto a fiori. Dava molto l'idea di un'estate sbarazzina, incurante di un tornado tropicale.
Ho messo il caffè sul fornello, sconfiggendo il tremore alla mano. Aspettando il gorgoglio profumato, ci siamo baciati. Un vorticoso abbraccio di lingue fameliche. Il cazzo palpitava già nelle mutande. La mano s'è insinuata sotto la gonna sgusciante, un accordo di dita ancora tremanti a strimpellare sul tanga, caldo e umido. Un sussulto soffocato, poi l'ha sfilato dai boxer, un pezzo di carne infuocato, serrato tra le sue dita di padrona. Severa, implacabile. Cristo! Ero duro come il marmo, eccitato come non avveniva da tempo. Mi scoppiavano le meningi. La vena delle tempie suonava un cha-cha-cha.
Il caffè è uscito, abbiamo lasciato che si bruciasse. 

Con gli occhi da cagna chiedeva la violentassi lì, senza aspettare oltre, nessun preambolo, pudore e stronzate tattiche. Solo istinto animale. L'ho fatta girare. Chinata sul tavolo, ha inarcato la schiena per mostrarmi ancora meglio la fica, e un buco di culo invitante. Il filo del tanga lasciava intravvedere il bucetto sconcio, stagliandosi dispettoso nella fica rosea e fradicia. Ho sfilato il tanga lentamente. Una gamba, poi l'altra. Vibrava, quasi, di una sadica voglia di cazzo. Quelle gambe dischiuse nascondevano il settimo mistero gaudioso di Fatima. E nessuno lo conosceva. Stava lì in mezzo, tra le sue chiappe discinte.
Ha preso a dimenarsi come una cavalla ingorda, appena assaporata la cappella. Muoveva le chiappe in modo circolare, cingendola con decisione. L'abbracciava con la fica. Poi l'ho infilato dentro di colpo. L'ha accolto con un rantolo d'eccitazione sorpresa, piagandosi ancora più in avanti. Gemeva senza trattenersi, sotto i colpi lenti e brutali. Li assestavo senza badare al resto, alla pioggia improvvisa all'aroma bruciata del caffè. Qualche istante a indugiare col cazzo piantato nella fica, fino alla palle, ascoltando quel mugolio prolungato, travestito da invito ad affondarne un altro, più vigoroso e profondo. E io la assecondavo, come un cavallo pazzo, che schiuma eccitazione dalle palle. 
Che chiavata coi fiocchi, nel tanfo di gomma bruciata, caffè e dello spirito santo coi suoi olezzi afrodisiaci. Leccava e succhiava le dita come fossero un cazzo. Forse lo voleva davvero, un altro cazzo. Tutte lo vogliono un altro cazzo, mentre godono. Anche quando non godono. Se n'è venuta con un urlo strozzato, mordendomi le dita.
L'ho sfilato, non ha fatto in tempo a scendere giù, che due schizzi abbondanti hanno sporcato il tavolo. 

Piegata sulle ginocchia, guardandola lappare gli ultimi fiotti svogliati, mi sentivo come un condottiero a seguito della pugna, un torero dopo aver colpito a morte il toro imbizzarrito. Sentivo il suo respiro ancora affannato sfiorare la pelle bagnata e sottile. Le labbra morbide lambivano la cappella intrisa di sborra quieta e densa, e se lo gustava con una lingua vellutata, avvolgendolo lentamente. Il mio cazzo era suo, appartenevo a lei, in quell'istante di piacere che svanisce lentamente, coi brividi a scuotermi la schiena fino allo sfintere.
Poi s'è asciugata le labbra, incominciando a vagare smarrita, alla ricerca di quel tanga minuscolo.
Ed io devo cambiare la guarnizione della moca.
Dedicato a chi non lo leggerà mai.