lunedì 30 marzo 2009

Labbra che sanno di cazzo






Lei non è la mia donna. Ha le idee confuse e una fica sincera. Io un solitario privo di pensiero razionale. E guardava l'orologio. Squilibrio folle.
“Devo andare alle nove. Mi mancherai davvero...”. Mi sorprende un poco, quella frase.
“E' solo per pochi giorni, non vado in guerra. Poi noi ci vediamo solo il fine settimana, non cambia nulla.”.
“Si, lo so. Ma saperti lontano...”.
“Già, la lontananza. Ti preoccupi? Lì ci sono le ronde, ma non credo mi faranno del male. Tornerò.”.
Non potevo sopportare di vederla così. Non aveva senso. Le ho chiesto di scendere, per comprare delle birre. Si è infilata un pantalone senza le mutande, poi il giubbino col pellicciotto di pastore tedesco e ha trottato giù per le scale. Mi vuole bene.
Reduci da un fine settimana tormentato, ho partorito una riflessione profonda: Un bevitore non può frequentare locali borghesi. E non può non bere. Per vedere ciò che vedono gli altri e farselo sembrare meno atroce, deve spendere il triplo. Il furbo si mette in pareggio in qualche stamberga e poi arriva sorridente nel locale. Io non ne ho avuto il tempo. E ora ho in tasca pochi euro.
In definitiva, le avevo concesso il venerdì notte e il sabato in giro. Poi la domenica di Gesù ci si è riposati scopando. Svuotato i coglioni dopo aver prosciugato le tasche. O forse è il contrario. Sicuramente è amore sincero.
E' tornata con le birre, ne ho stappato una e l'ho bevuta. Lei s'è accesa una sigaretta guardandomi bere. Poi le ho baciato la bocca imbronciata. Un bacio lungo. Lingue prese da un fremito calmo. Le sue labbra sapevano ancora del mio cazzo e di quel pomeriggio di sesso, intriso dei nostri piaceri appiccicosi. 

Mi è salita sopra. Uno strusciamento umido. La cappella su quella sorca scivolosa. Un gemito accennato ad accoglierne la punta, uno più profondo dopo averlo ingoiato tutto. Serrava le chiappe nella sua posizione prediletta.
Ha cominciato la sua danza. Un su e giù focoso assai. Poi qualche secondo a indugiare col cazzo piantato fino alle palle. Un movimento di bacino per assaporarne appieno la consistenza. E poi ancora a dimenarsi, col culo tarantolato. Che satanasso di donna!
Assistevo inerme dandole ciò che potevo.
La mani sulle chiappe sode, poi le dita a cercare la sue fessura adorabile. Continua a cavalcare, mentre un dito le scivola dentro. Intrappolato, serrato. Si muove ancor più frenetica. Quella pienezza la smarrisce. Strepita e viene. Si sfila, scivola di lato e si lascia sporcare il ventre mentre godo. Un rivolo denso le cola lentamente, lungo il fianco. Poi prende a mordermi il collo, in modo via via più sfumato, fino ad addormentarsi stanca. Ma non erano gli uomini ad addormentarsi dopo aver scopato? Io fumo. Ne stappo un'altra e la guardo dormire.
Sono le 8,50, e la sera arriva sempre troppo presto. La osservo schizzare in bagno col passo agitato. Alla tv parlano del “Partito del popolo della libertà”. Sorridono tutti. Un ammosciamento improvviso, implacabile. Penso addirittura di farle una dichiarazione amorosa. Dedicarle una poesia sull'amor struggente. Prometterle l'astinenza fino al matrimonio. Uno sposalizio con l'Ave Maria di Schubert gorgheggiata da una monachella gracchiante e baffuta. Gesù. Spengo e mi metto la testa sotto il cuscino. Ritorna. Si veste. Pettina i capelli. Poi un altro bacio umido. Il bacio è tutto. E se ne va portando in giro quelle labbra che sanno ancora un pò del mio cazzo.
Ed io ho fatto la valigia. Nei treni non si fuma. Ho scritto questo post, nello scompartimento di un notturno che puzza di fumo stagnato. Con un tizio che mi guarda incuriosito, considerandomi un pazzo.

mercoledì 25 marzo 2009

Fica sudata



Si infilò un maglione sformato, le cadeva distratto sulle cosce. Cantava felice e stringeva la moca. Mi rigirai ancora un po' nelle lenzuola. Le tende aperte dell'alcova, mostravano il piccolo ambiente umido della cucina. E continuava a cantare. Dovevo aver fatto un buon lavoro quella notte. La osservai vagare dubbiosa. Pochi metri quadrati, pareti ruvide di calce. Ambiente arabeggiante e spartano. Brace ancora viva nel camino. In quella casa di campagna, un solo inconveniente: Non sono arrivati i fili dell'elettricità, e l'acqua scorre gelida nelle tubature.
”Lavarsi sarà un problema”. Sembrava pensare.
Armeggiò nella finestra ricavata nella parete. Prese due grosse padelle in rame. Le riempì d'acqua e le mise sul fornello della cucina da campeggio, con l'espressione fiduciosa. Poi riempii il grosso tinello d'inizio secolo, mescolando l'acqua fumante a quella corrente. Osservavo ammirato tanta sensualità naturale. Sfilò il maglione calandosi nella vasca improvvisata. Una piccola smorfia, e poi un sorriso divertito. Bevvi il caffè, accesi la prima sigaretta. E continuai a guardare quell'affresco ottocentesco.
Come poteva una donna simile farselo bastare? Quanto tempo sarebbe passato prima che scappasse col primo imprenditore ingessato? Era matta, evidentemente.
“E' divertentissimo, dai vieni...”.
“Non ci entriamo. Ti guardo.”.
Le sue mani passavano sensuali sulle carni turgide, e versava il bagnoschiuma. Unica concessione alla modernità. Non c'era una saponetta. sarebbe stata perfetta. M'invitò ad avvicinarmi.
“Un tiro, un tiro!”.
Le porsi la sigaretta. Diede due boccate profonde.
“Mi aiuti?”.
Non me lo lasciai ripetere. Affondai la mano nell'acqua tiepida e la feci scorrere sulla pelle levigata dall'acqua. Una schiuma leggera le ricopriva il corpo fino ai capezzoli appuntiti. E passavo ingordo su quel seno piccolo e sodo. Il tepore sconcio mi condusse tra le gambe dischiuse. Le dita affondarono curiose in quella fica liscia e dischiusa. Le assecondava lasciva. Si apriva indecente. Poi ancora più giù a sondare il bucetto vizioso. Stretto e teso. L'altra mano le accarezzava i capelli, e passava sul collo. Le baciai la bocca rosea, le lingue presero a guizzare, assecondando i movimenti lenti delle dita, ed il rumore dell'acqua smossa. Un'eccitazione resa profonda dall'inconsueto. Basta poco. Avevamo scopato tutta la notte in modo selvaggio, in una stamberga di campagna. Lavarle la fica mi eccitava. Poi, improvvisa, premette forte la mano sulla mia, e se ne venne succhiandomi la lingua.
Uscì sgocciolante, si asciugò con cura. Pettinò i capelli davanti al piccolo specchio.
“Voglio fare un giro qui intorno più tardi...dai, mi ci porti?”.
“Ok, ma non c'è molto da vedere...”.
Indossava una gonna nera ridottissima, con le tasche sulle chiappe. Degli stivali aggressivi ed un giubbino vezzoso col pellicciotto. Era pronta per un locale alla moda, ma calcava quelle stradine sconnesse col passo deciso.
Polvere appena appesantita da uno strato di pioggia, ed odore di terra bagnata. Ai lati, muretti di pietre secolari, erbacce, rovi spinosi e fiori selvatici, spuntati per caso.
“Vedi? Su quell'albero mi aggrappavo come una scimmia da bambino. Ora è secco, morto! Basta una spinta per farlo cadere.”.
Guardava tutto e camminava. Cristo se camminava. Io ero stanco, mi dolevano le reni e sudavo freddo. Avevo bisogno di bere, di dormire.
“Che c'è, sei già stanco? Per forza, hai esagerato col vino ieri...come al solito.”.
“Oh certo, il vino.”.
L'idea che mi avesse sfiancato per tutta la notte, prosciugando ogni mia sostanza vitale, non la sfiorava nemmeno. Un uomo comincia a capire qualcosa, quando riesce a distinguere la natura ninfomane di una donna, dal suo amore folle. Io avevo scelto di non chiedermelo più.
E lei continuava a camminare nei suoi stivali. Ogni tanto rimanevo indietro, le guardavo le gambe. Lunghe, snelle, sinuose. “Cosa” cazzo mi ero scopato quella notte? Uh, che schianto di donna!
Il casolare era oramai un puntino indecifrabile. Nessun abominevole essere umano deambulante nel raggio di chilometri. Al nostro fianco un'enorme distesa di grano verde. Di fronte, il primo accenno di un bosco spaventoso, illuminato a giorno. Da piccoli, gli adulti ci narravano storie spaventose. Strani animali, cani randagi impazziti e diventati lupi, orsi, volpi, incroci mostruosi, persino squali e anaconde, dicevano si nascondessero in quegli anfratti scuri ed inaccessibili. Ogni tanto si sentivano notizie di gente scomparsa. “L'avrà divorato un lupo nel bosco.”. Dicevano con l'espressione convinta. La gente di paese è stupida almeno quanto quella di città. Solo più fantasiosa.
“Che bello! Dai andiamo! E' roman-ti-cis-si-mo!”.
Due indizi fanno una prova. Una donna svitata. Ma non sapevo ancora se era ninfomane o troppo innamorata.
“Ma tesoro, è pericoloso. Poi è tardi...”.
“Ecco! Lo vedi? Smonti ogni mio romanticismo!”.
“Oh ma possiamo sempre vederlo da lontano, senza rischiare di morire.”.
La prendo per mano, m'inerpico sul muretto di pietre appuntite. Aiuto anche lei a scavalcare. Esausto, mi stendo sul prato verde, ancora umido. La voglia di un bicchiere pieno.
Lei si china, poi si rialza. Sfila lo slip nero. Una gamba, poi l'altra. Mi viene di fronte e si adagia sul mio viso. Assaporo una fica sudata e carnosa, circondati da un nulla denso di pace. Mugola, strepita, pianta forte le ginocchia sul prato. Si contorce sinuosa, scuote lentamente i fianchi, muove il culo sul mio viso bagnato, si apre lasciandosi scopare da una lingua porca. Ohhh...m'inonda il viso d'eccitazione calda, ansima e gode. Poi scivola giù. Il desiderio di una birra ghiacciata, dopo una fica sudata.

lunedì 23 marzo 2009

Casting



Mi sono svegliato nervoso. la foto testimonia la mia inquietudine interiore. Lo dice il premier. Lo testimonia Emilio Fede lanciando un servizio: “Ma quale crisi? Negli ultimi mesi è aumentato il tempo che gli italiani dedicano agli hobbies. Lunghe passeggiate in centro, ristoratrici giornate al parco...”. Ti credo io, un disoccupato si ingegna. La crisi non ci sarà, ma ho deciso di affittare una stanza, per pagarmi le sigarette. Un annuncio assai spartano: “Affittasi stanza singola a persona tranquilla. Prezzi modici ed ambiente free.”.
“ambiente free” deve aver traviato una coppia di omosessuali con le sopracciglia spennate. Nulla in contrario, ma l'idea di vivere ascoltando i mugolii di due froci che si accoppiano, non mi allettava. Gliel'ho detto. Hanno risposto altre cinque persone. Ho fissato alcuni appuntamenti ieri, altri settimana prossima.
Dal balcone ho scrutato il primo pretendente. Un tizio sovrappeso, coi dread legati in una coda di cavallo e un enorme zaino a tracolla. Gli ho aperto ugualmente. Magari aveva portato una birra. Non l'aveva portata. L'ho mandato via.
“Mi dispiace, l'ho già affittata.”.
“Ma come, ieri sera mi ha detto che era disponibile!”.
“Ho chiuso stanotte. Problemi?”.
Se n'è andato scrollando le spalle.
Ha citofonato in modo isterico il secondo. Ho aperto. Un ragazzo castano, con la capigliatura squadrata e la montatura degli occhiali sottile. Studente in lettere e filosofie. Il viso smunto ed un sorriso raggelante. Gli occhi da timido maniaco deviato. Somigliava in modo inquietante ad Alberto Stasi, il presunto killer di Chiara Poggi. L'ho tenuto sulla soglia.
“Mi spiace, ma non cercavo uno studente.”. Se n'è andato senza tirare fuori l'accetta dallo zaino.
Poi è toccato ad una ragazza. Confesso che ho avuto una corrispondenza via mail la sera precedente, con la candidata. Sondato per bene la sua personalità, in modo professionale. Alla fine mi ha inviato cinque foto in allegato. Tre in bikini arancione durante le vacanze in Grecia. Altri due autoscatti casalinghi, ammiccanti. Niente male, davvero. forse voleva corrompermi.
Non sono contrario alla convivenza con le ragazze. Da studente ho avuto in casa due tizie simpaticissime, per sei mesi. Spendevamo le nostre serate di solitudine, tutti e tre nudi nello stesso letto. Nell'amicizia più spassionata e sincera. Persi 9 chili, mi bruciava il cazzo in modo perenne, ma riuscii a laurearmi. Riempivo i tempi morti, tra un gioco e l'altro, studiando. Grazie a loro sono un dottore. Uau! Ma adesso sono un uomo maturo. Certe cose non mi attraggono più molto. Come consuetudine, almeno.
Ho aperto. Una biondina di un metro e sessantuno con le scarpe basse. Era quella delle foto. Vestita rendeva ugualmente. Ventiquattro anni, ma ne dimostrava diciannove. Le ho mostrato la stanza e la casa. Pareva entusiasta ed apprensiva. Due chiappe tonde che scoppiavano fasciate in jeans attillati e le tette strizzate in una maglia nera sotto il giubbetto sbarazzino. L'ho fatta sedere. Si è sfilata la borsetta rosa da teenager e mostrato una luce maliziosa negli occhi scuri, truccati in modo leggero.
Ho assunto l'espressione di Morgan che tracanna coca-cola(coi capelli siamo lì), e l'ho interrogata minuziosamente. Segnavo dei “più” e dei “meno” sul block notes, con l'aria severa. Lei aveva la faccia sempre meno divertita, man mano che incalzavo con le domande. E le guardavo lo spacco delle tette.
Ho voluto sapere tutto. Dopo un quarto d'ora di interrogatorio, ha sbottato. Aveva gli occhi imploranti.
“Scusa, ma a me serve solo una stanza, non capisco quest'interrogatorio...poi ti ho già scritto tutto via mail!”.
(bel caratterino la ragazza! Altro “meno” sul blocchetto).
“E' giusto per conoscersi un po'. Io non ci sono mai a casa. Forse a fine mese mi trasferisco altrove.”.
Mi ha guardato come fossi un pericoloso deviato mentale. Le ho offerto una sigaretta, facendo un bel sorriso sdrammatizzante.
“Non fumo.”. (Altro doppio “meno”.).
“Senti, ma come potrai vedere, non faccio caso all'ordine...”.
“Nemmeno io...”.
“In ogni caso condivideremo solo la cucina. Io non cucino mai.”.
Ora era sul punto di chiamare i vigili. Ho proseguito.
“E' giusto chiarirtelo. Diciamo che io non faccio una vita regolare...viaggio molto, ci vedremo poco.”.
“Lo avevo capito che non eri uno regolare. Sei agente di commercio?”.
“Una specie. Poi potrà capitarti di vedermi nudo che giro per casa, che sbatto contro i mobili. La mattina è un momento delicato.”.
“Non è mica un problema, ne ho visti uomini nudi. Nemmeno io mi faccio problemi a stare nuda davanti alla gente.”.
“Si, dalle foto avevo intuito qualcosina...”.
“Sono una ragazza normale.”.
Poi l'ho congedata.
“Ok. Ti farò sapere a breve.”. Si prova un sadico piacere di rivalsa nel pronunciare quella frase.
Ho tracciato velocemente un profilo. Disinibita, naif, discotecara, amante del sesso promiscuo e della fellatio con ingoio. Sotto i ventisei anni hanno tutte il culto del pompino con ingoio. E' la prima cosa che imparano, poi vengono le moltiplicazioni e tre cifre. Non si sbaglia, le mie statistiche parlano chiaro. Posseggo un libro nero. E' il trend delle ragazze giovani e rampanti.
Malgrado queste buone credenziali, non l'ho reputata idonea per una convivenza armonica. Non mi piaceva. Troppo giovane, troppo sicura, troppo sciocca. Poi, nessun legame sentimentale per scelta, molti amici uomini. Appassionata dei festini privati e degli abbienti nullafacenti. Una tizia che preferisce una convivenza coi ragazzi, perché le donne sono gelose. L'invidia delle donne è direttamente proporzionale al grado di mignottaggine dell'invidiata. Si sa. L'idea di mettermi in casa una puttana che non sia la mia, non è il massimo. Respinta! Ma il numero l'ho tenuto. Si sa mai.
Mi sono coricato con lo stesso nervosismo spirituale. Magari chiamo la biondina.

venerdì 20 marzo 2009

Si muore in un culo caldo





La luce della finestra illuminava in modo indecente quelle chiappe lisce. Invitanti, oscenamente dischiuse. Nitida penombra. Chi può portare in giro un culo del genere? Ricordi sfumati di un volto chiaro, capelli biondi. Ho la testa pesante. Puzzo di whiskey e sigarette. Le palle dolgono in modo quasi piacevole. Il cazzo smanioso, teso dalla finzione del nuovo giorno. Va tutto bene. Certe mattine ti senti un Dio. Lo adagio tra quelle chiappe mortifere. Dimora sconcia. Potrei rimanere lì per il resto dei miei giorni, penso. Crepare in modo felice. Ognuno dovrebbe poter decidere la sua fine. Si nasce da una fica e si muore in un culo caldo. Tutto fila. Calore ruvido e accogliente.
Poi la bacio sul collo. Movenze da gatta cieca, eccitata, sorpresa. Mi piace scopare la mattina. Anche la sera, però. Quelle spalle lisce sono solo la prosecuzione di un'agonia lenta e piacevole. Lo spingo lentamente nella fica. Se lo aggiusta. Si mette comoda, sa il fatto suo. Mi muovo sopra quel serpente lascivo, che si si contorce e ansima. E spingo, annaspo su un corpo elettrico. Perso in una fica carnivora, provo a domarla aggrappato alle sue spalle inarcate, col culo sollevato, per riceverlo fino in fondo. Dio abbi pietà di me! Sto godendo la domenica del signore. E continuo a chiavarla lentamente, con colpi decisi.
Il rumore sordo delle sue carni schiocca a ogni colpo, mi inebria. Spingo, accelero fino a non capire nulla.
“Uhhhhh...Non venire, ti prego!”.
Ci provo. Rallento, mi prodigo, giochi d'anca e colpi di reni. L'avverto contorcersi, serrarlo forte tra le labbra contratte. Mugolii soffusi che diventano gemiti sguaiati e liberi. Poi uno più intenso finale.
Lo sfilo. Discreto. Sto per sborrarle appena sopra al culo, come al solito. Non quella mattina. E' una domenica sentimentale. Ci rinuncio.
“Vieni qui, tesoro...”. Ha la luce porca di un vizio soddisfatto, negli occhi. Si abbassa, lo afferra ancora teso, le vene pulsano sangue impazzito, strette nella sua mano. Vuole ammansirlo, ringraziandolo a suo modo. Che senso ha? Mi sottraggo, mi coglie una specie di pudore risentito.
Un caffè, una Lucky Strike e qualche colpo di tosse orrendo. Nudo sulla sedia della cucina, provo a pensare. Inspiro aspiro. Poi la spengo nel posacenere stracolmo. Ancora tosse brutale. E penso che così non va, merda! Non ha senso. Non usa la pillola. Bene. A me il preservativo da un senso di distacco. Sborrare nella fica è una missione per ragazzi con la riga di lato. Le scopate a rate non mi eccitano. Allora occorre venirsi incontro a metà strada. Chiavate democristiane. Torno in stanza. Le poso il caffè sul comodino, e mi ributto tra le lenzuola. La guardo bere. Mi scruta perplessa e arruffata, con la tazzina tra le mani. Poi la posa.
“Sei arrabbiato? Che hai? Mica ti capisco, certe volte...”.
La sua chioma chiara e scomposta poi si abbassa, s'insinua tra le mie gambe. Afferra la cappella tra le labbra, già lucida e gonfia sotto quella lingua calda. Scoppia d'eccitazione. Adora leccarlo lentamente, dopo aver goduto. Non si stanca, assapora tutto. Ho le palle sudate. Le lecca, poi risale viziosa. Un pompino di lato e ad occhi chiusi, senza usare le mani. Solo labbra bagnate. Poi la lingua tesa, ora morbida, a disegnarne i bordi lucenti. Assapora lentamente, lo avviluppa. Succhia forte, lo ingoia fino a farsi solleticare la gola, poi riprende a lappare in modo sguaiato, mugola come cagna devota. 

Cristo che lingua forsennata! Impazzisco. Un brivido che parte dalla schiena, percorre le palle dure come il marmo, fino a risalire sull'asta avvolgendo la cappella che si contrae. Avverte anche lei il mio piacere in arrivo, tira un po' più in alto la maglietta, lo sfrega tra i seni nudi. Preme sui miei glutei, poi se lo lascia scivolare bagnato sulle labbra socchiuse. Un rantolo soffocato, e fiotti abbondanti.
La forza di un orgasmo in sospeso non è per tutte. Asseconda i primi sul viso, gli altri meno intensi sulle tette protese e chiare. Lecca, mi ingoia ancora caldo. Poi ripulisce il residuo, rimane qualche secondo bagnarsi le labbra. Giochi infantili e baci intrisi di sborra. Abbozza una smorfia ed un sorriso soddisfatto, poi si allunga sul comodino, mostrandomi nuovamente la schiena nuda. Sfila una sigaretta e se l'accende. La guardo. Mi piace quel neo ai bordi delle labbra struccate, arrossate. Si adagia ancora appiccicosa sul mio petto. Butta fuori qualche boccata distratta, e fissa un quadro alla parete.
Dedicato a chi non lo leggerà mai.